Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Convegno, 10 agosto 2015 Dopo quasi mezzo secolo, è necessario riflettere sul movimento del ’68, su quanto l’ha preceduto e quanto l’ha seguito, con un atteggiamento critico e distaccato, senza mitologie, ma anche senza ridicole “demonizzazioni”. Del resto, il movimento del ’68 non fu un fenomeno solo italiano, ma europeo e mondiale, che ha lasciato un segno profondo in tutte le società in cui si è sviluppato, al punto da diventare, anche sul piano storiografico, una data “periodizzante”. Per quanto riguarda l’Italia, è necessario collocare l’analisi del movimento del ’68 nel contesto storico-politico, socio-economico, culturale ed anche ecclesiale dei primi anni ’60, che può essere così sinteticamente delineato, anche nei suoi aspetti internazionali: 1. L’enorme trasformazione della società italiana, con le migrazioni di massaud al Nord, e il “boom” economico prodotto dal tumultuoso processo di industrializzazione di quello che all’epoca veniva definito “neo-capitalismo”; 2. Il pontificato innovatore di Giovanni XXIII e il Concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965); 3. La nascita del primo centro-sinistra, dopo la crisi tambroniana del giugno-luglio 1960, ma in un sistema politico “bloccato” dalla “conventio ad excludendum” nei confronti del PCI; 4. L’esperienza kennedyana della “nuova frontiera” negli USA (dal 1960 fino al suo assassinio nel1963); 5. Le conseguenze del XX Congresso del PCUS (1956), ma anche dell’invasione sovietica dell’Ungheria (ottobre-novembre 1956) con gli aspetti controversi della “destalinizzazione” e del cosiddetto “disgelo” nella fase storica di Kruscev (fino alla sua destituzione nel 1964). A differenza ad esempio dal maggio parigino e francese, che ebbe una rilevanza enorme, ma si concluse in poche settimane anche a causa della forte reazione gollista, in Italia il movimento del ’68 non fu frutto di una “esplosione” improvvisa e subitanea, e va quindi analizzato tenendo conto di una serie di fattori: 1. Il passaggio, pur graduale e parziale, dall’Università di élite all’Università di massa; 2. Le difficoltà del primo centro-sinistra a metà degli anni ’60, con una regressione determinata sia dalle manovre para-golpiste del “Piano Solo” (De Lorenzo-Segni) sia dai primi segni di crisi economica (la cosiddetta “congiuntura”) e di ripresa dell’inflazione; 3. Le enormi trasformazioni socio-culturali ed anche ideologiche; 4. La grande rilevanza dei processi all’interno del mondo cattolico, con l’inizio della crisi della “unità politica dei cattolici” e del “collateralismo democristiano”, e con i nuovi fenomeni del “dissenso cattolico” e della “contestazione ecclesiale”; 5. Lo scontro politico e ideologico nella sinistra storica (PCI, PSI e PSIUP) e la nascita di una nuova sinistra “eterodossa”, a cominciare dai “Quaderni rossi” di Raniero Panzieri e dai primi “gruppi minoritari” della sinistra extra-parlamentare; 6. il contesto della crisi internazionale, dopo l’esperienza di Kennedy e Kruscev, con il ritorno della “guerra fredda”, la guerra nel Vietnam, la guerra arabo-israeliana e le crisi in America Latina (dopo la sconfitta e morte di “Che” Guevara e l’isolamento di Cuba), fino all’invasione sovietica della Cecoslovacchia per stroncare il “socialismo dal volto umano” di Dubcek e la “primavera di Praga”; 7. il fortissimo processo di “modernizzazione” socio-culturale nei vari ambiti della società italiana; 8. L’emergere sulla scena delle prime generazioni giovanili che non hanno conosciuto l’esperienza della guerra, dopo due guerre mondiali che avevano segnato tutte le generazioni precedenti. Non è un caso che si possa parlare di un “ ’68 lungo” italiano, che per certi aspetti si prolungherà fino agli anni ’70, ma che in sintesi possiamo riassumere in questa periodizzazione: il 1967 come “l’anno del Vietnam” e della dimensione antimperialista; il 1968 vero e proprio come “l’anno degli studenti” (come recitava il titolo di un libro di Rossana Rossanda) e della dimensione anti-autoritaria; il 1969 come “l’anno degli operai” e della saldatura tra movimento studentesco e movimento operaio. Dunque, il movimento del ’68 ha sviluppato una forte dimensione “anti-autoritaria”, mettendo in discussione via via tutti gli ambiti sociali e istituzionali: la scuola e l’università, l’organizzazione produttive nelle fabbriche e l’organizzazione territoriale nei quartieri, la struttura tradizionale della famiglia, i rapporti generazionali ed i rapporti sessuali, le “istituzioni totali” come le carceri, le caserme e gli ospedali psichiatrici, ma anche le forme della politica e della rappresentanza, fino ad incidere pure nell’ambito religioso ed ecclesiastico, con i citati fenomeni post-conciliari del “dissenso cattolico” e della “contestazione ecclesiale”. I movimenti del ’68 e ’69 furono davvero espressione di un forte processo di modernizzazione e di una sorta di “anticipazione del futuro”: si potrebbero quasi definire, soprattutto il ’68, un primissimo fenomeno di “globalizzazione” politica e culturale, ben prima della più recente globalizzazione economica e finanziaria. Ma anche i successivi anni ’70 furono caratterizzati da una sorta di “onda lunga” di quei movimenti, che proiettò la spinta anti-autoritaria lungo tutto il decennio, quasi come una singolare “lunga marcia attraverso le istituzioni”. Se gli anni ’60-70 restano spesso ancor oggi nella memoria per le tragedie della strategia della tensione, dei rigurgiti fascisti e poi degli “anni di piombo”, in realtà essi hanno anche determinato la più straordinaria stagione di riforme e di conquista di nuovi diritti civili di tutto il secondo dopoguerra, cioè di tutta la storia repubblicana, una stagione fino ad oggi insuperata (anzi, oggi c’è chi tenterebbe di rimettere in discussione quelle conquiste democratiche). Gli anni Sessanta e Settanta: due decenni che si sono polarizzati tra riforme e rivoluzione, ma anche tra antifascismo e rigurgiti fascisti, tra le crescenti spinte democratiche (anche sul piano elettorale, come nel 1968 e nel biennio 1975-76) e la già ricordata strategia della tensione e delle stragi, tra un forte ampliamento dei diritti civili – sotto il tumultuoso impatto dei movimenti collettivi e degli eventi referendari – e la prevalenza finale delle leggi di emergenza, come riflesso condizionato dell’attacco terroristico nei conclusivi “anni di piombo”. Il movimento (prevalentemente studentesco, ma non solo) del ’68 si era subito saldato con il movimento (prevalentemente operaio, ma non solo) del ’69, all’epoca dei rinnovi contrattuali del cosiddetto “autunno caldo”, dando vita così ad una sorta di “nuovo biennio rosso ’68-69”, che riecheggiava la memoria storica del “biennio rosso 1919-20”. Il primo “biennio rosso” venne poi stroncato dalla nascita del fascismo e dalla restaurazione autoritaria prima e totalitaria poi, che segnò la perdita totale della democrazia per vent’anni in Italia. Il secondo ebbe la sua conclusione tragica e traumatica nella strage di piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969, che segnò per un’intera generazione giovanile la “perdita dell’innocenza”, il passaggio dal sogno di una rivoluzione antiautoritaria al fare i conti con la destabilizzazione istituzionale e con la reazione fascista, che però non riuscirono a prevalere. Ma l’emergenza, prima, del terrorismo di destra e delle sue complicità istituzionali e, poi, del non meno feroce terrorismo di sinistra condizionarono pesantemente un’intera generazione, che vide spegnere i propri sogni dapprima nel sangue indiscriminato delle stragi e quindi negli omicidi mirati e sistematici degli “anni di piombo”. Se dunque i movimenti del ’68 e ’69, come già detto, furono espressione di un forte processo di modernizzazione e di una sorta di “anticipazione del futuro”, non altrettanto si può dire, in alcuni casi, del loro linguaggio ideologico, che, superata la fase embrionale dello “stato nascente” (come la definì efficacemente Francesco Alberoni), spesso si arenò nelle secche delle vecchie diatribe ideologiche della sinistra storica, ortodossa ed eterodossa (basti pensare al Movimento studentesco della Statale di Milano, che giunse a ripubblicare, come riferimento ideologico, le opere di Stalin, con una scelta tuttavia totalmente rigettata dai movimenti di altre università italiane, come quella di Trento e molte altre). Tuttavia, come ho già detto, gli anni ’70 furono poi caratterizzati da una sorta di “onda lunga” di quei movimenti del ’68-69, che proiettò la spinta anti-autoritaria lungo tutto il decennio. Non a caso ho utilizzato l’espressione “lunga marcia attraverso le istituzioni”, che nella Repubblica federale di Germania aveva già teorizzato il leader Rudi Dutschke, prima di essere colpito da un attentato nel venerdì santo del 1968 a Berlino-Ovest, frutto della campagna denigratoria del movimento tedesco e del suo leader da parte degli organi di stampa dell’editore Springer, a cominciare dalla scandalistica “Bild Zeitung”, stigmatizzata poi anche dal grande scrittore Heinrich Boell. Basti pensare, già nel 1970, alla introduzione dello Statuto dei diritti dei lavoratori, alla legge sul divorzio e alla legge istitutiva dei referendum (istituto previsto in Costituzione, ma fino ad allora mai attuato, come del resto l’istituto delle Regioni a statuto ordinario, avviate per la prima volta proprio nel 1970). Nel 1972 viene riconosciuto il diritto di voto per i diciottenni (prima si esercitava solo dai 21 anni), con la conseguente riduzione della maggiore età. Nel 1973 viene finalmente legittimato il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare (allora) obbligatorio, con conseguente nascita anche del servizio civile. In precedenza, l’obiezione di coscienza era costata il carcere militare a molti obiettori cattolici e laici, oltre che ai Testimoni di Geova, e il suo elogio – col libro L’obbedienza non è più una virtù – era costato un processo penale a don Lorenzo Milani, il quale, con la sua Scuola di Barbiana, produsse nel 1967, alle soglie della morte, quella Lettera ad una professoressa, che ebbe un grande impatto nel ’68 italiano. Il 1974 è davvero l’anno “epico” della vittoria referendaria (il 12 e 13 maggio) sul divorzio, che determina anche una drastica svolta successiva sul piano elettorale (i primi anni ’70 avevano visto una forte crescita delle destre),fino alle elezioni regionali e amministrative del 1975 e alle elezioni politiche del 1976. Nel 1974 vengono anche approvati i cosiddetti “decreti delegati” sulla Scuola, che aprono una nuova stagione di partecipazione democratica negli istituti superiori. Nel 1975 viene varata la riforma dell’ordinamento penitenziario (dopo una stagione di drammatiche rivolte nelle carceri) e viene introdotto il nuovo diritto di famiglia, che chiude per sempre (almeno sul piano legislativo) la stagione “patriarcale” nei rapporti familiari. E questo avviene anche sotto l’imponente spinta dei movimenti femministi, che porta inoltre nel 1977 alla legge sulla parità di genere nel lavoro e nel 1978 alla legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, mentre in precedenza era stata approvata anche la legge quadro sui consultori. Nello stesso 1978 viene approvata la “legge 180 – Basaglia” per l’abolizione degli ospedali psichiatrici e quindi anche la legge che istituisce il Servizio sanitario nazionale. Alla fine del decennio, nel 1980, viene abolita la figura penale del “delitto d’onore” e viene anche approvata la legge che consente per la prima volta la possibilità di cambiare sesso. Dal 1977 si era sviluppato, dapprima addirittura in modo “clandestino”, il movimento per la smilitarizzazione e il Sindacato di Polizia, che portò infine nel 1981 alla riforma della Polizia di Stato, mentre venne anche introdotto il riconoscimento dei diritti di rappresentanza nelle Forze armate. Dunque, gli anni ’60 e ’70 - che tanto sono costati in termini di lotte politiche e sociali, di scontri di piazza, di risposta dura ai rigurgiti fascisti e di resistenza democratica alla strategia stragista, e che hanno visto svilupparsi tanti movimenti collettivi in tutti gli ambiti sociali - sono stati anche due decenni caratterizzati da uno straordinario processo riformatore sul piano istituzionale, purtroppo offuscato negli ultimi anni dalla sequela della legislazione d’emergenza (dalla legge sulle armi alla legge Reale fino al decreto Cossiga). Il terrorismo riuscì paradossalmente nell’obiettivo, che non era riuscito alla strategia stragista: soffocare la partecipazione democratica, ricacciare i cittadini spaventati nelle proprie case, far prevalere la logica della repressione e della paura. Gli “anni di piombo” segnarono la fine di quella stagione, che poi regredì nel cosiddetto “riflusso” degli anni ’80. Ma nonostante tutto, sotto la cortina soporifera del “riflusso”, cominciarono a svilupparsi anche nuovi movimenti, molto più “post-ideologici”, meno totalizzanti e più legati a obiettivi specifici: i movimenti antinucleari, pacifisti, ambientalisti, ecologisti, dei consumatori e della nuova stagione dei diritti civili, di “terza generazione”. Dunque,. gli anni ’60 e ’70 non erano passati invano, anche se una stagione era definitivamente finita. E di questa stagione è bene che rimanga viva la memoria storica: non per nostalgia del passato, ma per capire lungo quali percorsi si sono poi aperti i nuovi scenari del futuro, che tanti problemi e tante questioni irrisolte ci hanno comunque consegnato, ancora fino ad oggi. Ma, senza le conquiste degli anni ‘60 e ’70, saremmo tutti culturalmente e politicamente più poveri e meno consapevoli dei nostri diritti. Marco Boato
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MARCO BOATO |
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